Descrizione
Ricordare e parlare delle paserére a chi come me, nato e cresciuto in stretto contatto con la campagna e gli animali, significa riportare alla mente i primi dieci anni di vita, forse i più belli, sicuramente i più allegri e spensierati, come del resto dev’essere per tutti i bambini.
Erano belli i giochi nei campi, e le paserére suscitavano un fascino straordinario su di noi; erano il rifugio dei nostri giochi, lontani dallo sguardo vigile e severo dei genitori.
Quelle torrette erano spesso chiuse da porte di legno e ferro e sprangate con grossi scadenass, altre invece erano aperte, lasciate libere di essere visitate: entrarci era come conquistare la torre di un castello, il gioco più bello ed eccitante!
Entrare in esse ci caricava sempre di una forte tensione: paura di essere visti dal contadino; timore di trovarci davanti qualche strano attrezzo che la nostra fantasia galoppante trasformava in mostro; paura di imbatterci in rapaci che, a detta della mamma (argomentazione inventata per tenerci lontani da quei luoghi), vigilavano sui passeri più piccoli per poi farne preda una volta divenuti più in carne…
Era diffuso, tra i ragazzini di campagna ‘nda a nì girare pomeriggi interi seguendo con gli occhi gli uccelli in volo per scoprire dove andassero a deporre le uova oppure a portare cibo ai loro piccoli. Una volta individuati i nidi, si cercava di salire sugli alberi o di entrare nelle torrette per riuscire a toccare le uova o gli uccellini, ma a volte il risultato era disastroso: accidentalmente si rompevano e noi scendevamo quatti quatti, un po’ dispiaciuti, ma sempre pronti a scovare qualcos’altro.
Cosa rimane oggi di tutto questo?
Tanti ricordi di un’infanzia che sembra vissuta secoli or sono, invece stiamo parlando di due, tre decenni fa; uno stile di vita ormai scomparso soppiantato dai computer e da tutto ciò che è virtuale.
Rimangono… tanti ricordi e tante torri ancora in piedi, altre non per molto, a testimonianza di quello che hanno significato per molte generazioni e definito in modo poetico dagli autori dei testi di questo volume: il pane delle colombere, ovvero il sostentamento alimentare.
(Eugenio Massetti)