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A cura di: Eugenio Massetti

Paserére (piccionaie, passeraie)

– Volume Primo –

21.00

Categorie: , ,
Collana: Territori Bresciani storia economia cultura N. 12
Testi: Gian Mario Andrico e Floriana Maffeis
Prefazione: Alessandro Sala
Introduzione: Gli Autori
Fotografie: Cesare Morstabilini
Formato: 204x260x14 mm - pp. 160 - illustrato colori - copertina con alette su Modigliani
Edizione: 2000
ISBN: 88-8486-000-8
Product ID: 1806

Descrizione

Ricordare e parlare delle paserére a chi come me, nato e cresciuto in stretto contatto con la campagna e gli animali, significa riportare alla mente i primi dieci anni di vita, forse i più belli, sicuramente i più allegri e spensierati, come del resto dev’essere per tutti i bambini.
Erano belli i giochi nei campi, e le paserére suscitavano un fascino straordinario su di noi; erano il rifugio dei nostri giochi, lontani dallo sguardo vigile e severo dei genitori.
Quelle torrette erano spesso chiuse da porte di legno e ferro e sprangate con grossi scadenass, altre invece erano aperte, lasciate libere di essere visitate: entrarci era come conquistare la torre di un castello, il gioco più bello ed eccitante!
Entrare in esse ci caricava sempre di una forte tensione: paura di essere visti dal contadino; timore di trovarci davanti qualche strano attrezzo che la nostra fantasia galoppante trasformava in mostro; paura di imbatterci in rapaci che, a detta della mamma (argomentazione inventata per tenerci lontani da quei luoghi), vigilavano sui passeri più piccoli per poi farne preda una volta divenuti più in carne…
Era diffuso, tra i ragazzini di campagna ‘nda a nì girare pomeriggi interi seguendo con gli occhi gli uccelli in volo per scoprire dove andassero a deporre le uova oppure a portare cibo ai loro piccoli. Una volta individuati i nidi, si cercava di salire sugli alberi o di entrare nelle torrette per riuscire a toccare le uova o gli uccellini, ma a volte il risultato era disastroso: accidentalmente si rompevano e noi scendevamo quatti quatti, un po’ dispiaciuti, ma sempre pronti a scovare qualcos’altro.
Cosa rimane oggi di tutto questo?
Tanti ricordi di un’infanzia che sembra vissuta secoli or sono, invece stiamo parlando di due, tre decenni fa; uno stile di vita ormai scomparso soppiantato dai computer e da tutto ciò che è virtuale.
Rimangono… tanti ricordi e tante torri ancora in piedi, altre non per molto, a testimonianza di quello che hanno significato per molte generazioni e definito in modo poetico dagli autori dei testi di questo volume: il pane delle colombere, ovvero il sostentamento alimentare.
(Eugenio Massetti)