Descrizione
Allestire un museo è per lo storico abituato ad affidare il racconto del passato a testi scritti una sfida gravida di azzardi. Significa per lui anzitutto affrontare la sfida di adottare un nuovo linguaggio: il linguaggio visivo – quello che Dante chiama «il visibile parlare» – espressivo ma muto, delle fotografie, dei reperti, dei documenti che impongono una stringatezza e un’essenzialità alla narrazione. Al cambio del linguaggio segue la sfida costituita dal cambio del pubblico fruitore del racconto storico. Non è più il consueto circuito ristretto degli studiosi, dei ricercatori, dei lettori usuali di opere storiche, ma quello ben più ampio – ci si augura – dei visitatori, molti dei quali digiuni di storia. E ancora: nel caso specifico dell’allestimento di un museo sulla Repubblica sociale italiana lo storico deve affrontare un ulteriore azzardo legato all’argomento scelto. Un tema caldo, caldissimo. Di più, infuocato, per le implicazioni politiche che comporta nella memoria collettiva del Paese e la carica divisiva che gli è propria.
Non esiste un passaggio della nostra storia recente su cui si sia realizzata una memoria, non diciamo condivisa, ma nemmeno pacificata. Non esiste sulla formazione dell’Italia unita.
Non esiste sulla prima guerra mondiale. Tanto meno, esiste sul fascismo e sui seicento giorni della Repubblica di Salò. Siamo i primi, perciò, a essere consapevoli dell’azzardo connesso al proposito di allestire un museo della Rsi. Il rischio, insito in ogni musealizzazione, di finire col monumentalizzare il tema trattato, nel nostro caso era incombente e rigorosamente da evitare. È lo stesso pericolo che incombe sul biografo: identificarsi col biografato. Compito dello storico è invece altro: offrire documentazione, ragioni, argomenti che stimolino una seria riflessione su un tema tanto controverso come la storia della Rsi, non fornire un’ulteriore sollecitazione all’inesausto scontro che sull’argomento si perpetua da ormai un settantennio.
Coscienti di questo rischio, è stata nostra preoccupazione costante vigilare sul pericolo che il combinato delle immagini, dei documenti, dei reperti proposti non inclinasse verso l’apologia della Repubblica sociale italiana.
Un’ultima avvertenza. Oggetto di trattazione del museo, e di rimbalzo del presente catalogo, non è la vicenda dell’Italia al tempo della Rsi, ma segnatamente la pagina scritta dall’ultimo fascismo, resuscitato a Salò dopo l’8 settembre 1943. Sotto i riflettori sono finiti perciò in primis i progetti e i comportamenti assunti dagli epigoni del fascismo. Si è dato comunque spazio anche alle ripercussioni che sulla vita degli italiani ha avuto la loro azione politica e militare: le sofferenze, le violenze, i lutti patiti nel corso della lunga, feroce guerra civile che piagò l’Italia in quei diciotto mesi di passione.
Una parola, infine, sul materiale archivistico e documentario utilizzato per l’allestimento del museo e riprodotto nel catalogo, debitamente arricchito nonché corredato da un’ampia silloge di interventi di qualificati studiosi del periodo. Il presente lavoro è il frutto di uno scavo condotto in archivi pubblici e privati, attingendo in particolare al prezioso patrimonio accumulato con passione dai collezionisti cui rivolgiamo il sentimento di gratitudine e di riconoscenza per la collaborazione e la generosità riservateci.
Il lettore troverà qui illustrati in modo agile i vari aspetti dello Stato repubblicano fascista e insieme della vita degli italiani al tempo della Repubblica sociale: partendo dagli antefatti, per passare al suo insediamento, al programma politico adottato, all’azione sviluppata nel corso dei suoi seicento giorni di vita e per finire con un flash sul mito e l’antimito che la Rsi ha animato nella memoria degli italiani dopo la sua caduta.
Il nostro auspicio è che museo e catalogo vengano accolti come un contributo alla conoscenza e alla riflessione su questa pagina tragica, eppur cruciale, della nostra storia nazionale. Insomma, non per animare altre polemiche, ma per far maturare una consapevolezza critica di quel passato.
(Roberto Chiarini, Elena Pala)