Descrizione
Nella bimillenaria serie dei vescovi di Roma esistono papi che finiscono per essere mortificati e penalizzati dal concorso di circostanze diverse e concomitanti: la brevità del periodo nel quale ressero il peso delle somme chiavi, la collocazione cronologica del loro ministero pontificale, talvolta i clichés di una storiografia non favorevole. Esattamente è quanto accaduto al domenicano trevigiano Nicolò Boccasino, maestro generale del suo Ordine dal 1296 al 1298 e pontefice romano per meno di un anno, dall’ottobre 1303 al luglio 1304. Benedetto XI si trovò così quasi schiacciato fra due pontefici celeberrimi: Bonifacio VIII, l’apice della teocrazia papale medievale e al tempo stesso l’inizio del suo declino, e Clemente V, il «guasco» che ingannò «l’alto Arrigo», il «pastor sanza legge» di dantesca memoria, alle origini del periodo a lungo noto come «cattività avignonese». Il Boccasino fu oscurato dal predecessore e dal successore e la sua fama postuma ne risentì. Oscillando curiosamente fra grandezza e nullità: alcuni studiosi, come il domenicano Pierre Mandonnet, hanno addirittura ritenuto che il Veltro dantesco fosse un’allusione proprio al papa domenicano, altri hanno ipotizzato che il silenzio di Dante sul successore di Bonifacio VIII fosse motivato dalla sua collocazione «tra coloro di cui non val troppo la pena di occuparsi» (Raoul Manselli).
Eppure Benedetto XI non era né uno sprovveduto né un debole né un irresoluto, come viene talvolta descritto dalla storiografia. A dimostrarlo basterebbe un semplice sguardo alla sua biografia.