Descrizione
Cosa c’è di più leggero ed aereo di una vela spiegata che si staglia tra acqua e cielo?
Forse un uccello, o una nuvola corsara. O, più ancora, la massa d’aria carica di foglie e spruzzi schiumosi sollevata e mossa dallo spirare del vento.
E di più pesante e grave di un’ancora di ferro che blocca i movimenti di un natante che, pure, vorrebbe scivolare sull’acqua e prendere una direzione?
Non so. Forse nemmeno un macigno.
Proviamo a ribaltare i termini. Immaginiamo una vela di ferro. No, non ne ricaviamo un’immagine stordita, assurda, massificata, ma ancora una volta la riscopriamo aerea, leggera, persino elegante, nella sua struttura primitiva, sempre che a costruirla sia un’artefice come Franca Ghitti.
Lo comprovano in sequenza le immagini di questo album-calendario che raccontano di vele tessute con trame ferrose, a loro volta immagini che rinviano ad altre icone, come metafore delle metamorfosi della vita dell’uomo. Eccole in rassegna, rilievi di un monumento romanico, o stele cangianti forma e colore, o orditure di reti, simili spesso a tappeti sontuosi, o attrezzi agricoli primordiali.
Sono vele di ferro forgiato alla maniera antica, battuto e ribattuto al calor della fiamma, piegato, ritorto, e poi congiunto frammento per frammento, per significare una nuova geografia dell’anima, tutta e sempre protesa tra il passato o, per meglio dire, tra le origini della propria storia e il futuro della vita che da quelle origini non potrà mai liberarsi.
Sono vele che raccontano di viaggi, percorsi lungo la costa, con approdi funzionali come quelli destinati ai trasporti o ai commerci, ma talvolta sono anche vele che narrano dell’inesorabile e ineludibile mestiere del navigare inteso come avventura o, come necessità, o come semplice dato esistenziale.
E insieme alle vele si mescola e si riflette un composito mondo di esseri e di elementi. Sì perché il triangolo o il trapezio disteso di queste vele, ora si manifesta ordito di fauna ittica mirabilmente “viva”, ora si trasforma in voluta ondosa, ora si protende verso il largo come un veliero, ora affonda radici nell’acqua come una palafitta, o infine, si protende nell’aria come una fiamma.
Leggerezza dell’immagine e gravità della struttura: antitesi solo apparente.
La struttura ferrosa delle vele di Franca Ghitti è qui a dirci che è nella materia ri-creata che vanno decifrati i segni della nostra esistenza. È dentro questo oggetto-progetto che sono scritti i codici del nostro linguaggio: nella massa metallica, nella misura dello spessore, nella superficie scabra, nel recupero dei frammenti, nella congiunzione e ricomposizione dei pezzi, meglio se di scarto, che provocano il rinvio ad altri segni. Perché il linguaggio si svolga e proceda in tutta la sua ricca intensità.