Descrizione
Veronica, la zappatrice macedone ricurva sulla terra arsa dal sole rappresenta in modo evidente la fatica dell’uomo. Il sudore della fronte, necessario per strappare alla terra i suoi frutti. Mor Stabilini ci ricorda la fatica dei nostri nonni, il peso del lavoro manuale che è stato anche il riscatto del mondo contadino; spesso denigrato e dimenticato troppo in fretta dalle nuove generazioni. Con le immagini e le parole ci racconta gli avvenimenti, i drammi del Novecento e con essi la voglia di modernità che purtroppo si traduce in una grande devastazione ambientale.
Cesare ha voluto scegliere per questo volume alcune immagini del suo mondo. Gli scatti, provenienti dalle sue innumerevoli esperienze di viaggio sono accompagnati dalla poesia dei suoi pensieri, a volte semplici, ma sempre di grande valore emotivo. La primavera che si intuisce nelle gemme del grande viale alberato sboccia inequivocabilmente nella corsa gioiosa della ragazza in cerca di libertà. Il passero che osserva il bimbo mentre sgranocchia un enorme pane biscottato esprime il senso dell’attesa di chi sa che con pazienza potrà ottenere il pasto tanto desiderato. Nelle poesie Cesare esprime la speranza di chi ha fede in Dio e crede nella redenzione dell’uomo “Quando le piante perdono le foglie, non vuol dire che sono morte: presto germoglieranno ancora”; esprime anche la consapevolezza che solo con la fatica e il lavoro potremo raggiungere risultati importanti, “Credo che per raggiungere la cima della montagna, �prima bisogni attraversare la valle”. Alcune immagini sono legate a grandi avvenimenti storici come la caduta del muro di Berlino, “da questa casa si staccano calcinacci dalle pareti: qualcosa si sta frantumando”. Gli scatti legati al tema dell’olocausto sono davvero emozionanti e quantomeno necessari affinché l’uomo non dimentichi e i giovani si rendano conto delle atrocità commesse . “Arbeit Macht Frei, il lavoro rende liberi all’interno suona un’orchestra ci aspettano, siamo in tanti, sì siamo arrivati ad Auschwitz”.
Potremmo definire quella di Mor Stabilini una lettura introversa della realtà, a volte un po’ triste, ma sempre ricca di speranza e di fede.