Descrizione
Scorrendo le imprese decorative delle chiese nel bresciano dal 1843 alla fine del secolo, si resta stupiti dalla quantità di lavori compiuti da Antonio Guadagnini; un impegno che, fino all’inizio degli anni Ottanta si configura praticamente come un monopolio. Guadagnini non è, chiaramente, l’unico che opera in questo ambito ma, come sarà poi per Gaetano Cresseri e quindi per Vittorio Trainini, è imprescindibile e segna un modo di concepire la decorazione in un periodo di grande interesse: di mezzo tra il primo Neoclassicismo locale, campione il clarense Giuseppe Teosa, e la stagione dell’eclettismo neobarocco, Guadagnini è l’unico esponente di spicco in un panorama artistico come quello bresciano che sta a guardare il muoversi delle due grandi correnti dell’Ottocento: l’Accademia e il Romanticismo che significa, detto alla breve, il polarizzarsi verso Bergamo o verso Milano, proprio mentre i giochi unitari stavano scardinando la visione policentrica delle scuole artistiche locali a favore di un linguaggio che sarebbe diventato nazionale sul finire del secolo proprio per impulso del nuovo stato unitario. Che poi, come sempre capita quando le cose accadono, la netta distinzione tra Accademia e novità d’impeto di matrice romantica, non è così percepita, soprattutto dai collezionisti che allo stesso modo apprezzano Diotti e poi Scuri, ma fanno il tifo pure per Podesti e per l’inarrivabile Hayez, inarrivabile anche per Palagi con il suo daffare a contrastare il veneziano sul terreno comune della nuova pittura di storia, ammiccante da un lato al dogma accademico della composizione corretta e dall’altro al dato veritativo, all’incipiente crogiolo del dramma collettivo, alla mozione degli animi, a quella mozione degli animi a cui il Diotti mostrerà di non allinearsi mai, preferendo una pittura di correttezza a una di verità, o, per dirla col Mazzini e tutta la critica successiva, una pittura di “realtà” storica a una di “verità” storica.
(Giuseppe Fusari)